
L’interpretazione della realtà è un affare pernicioso.
Ciascuno, attraverso la propria lente, a seconda dei propri difetti oftalmici, scruta il palcoscenico sociale attribuendo al segno un dato valore, talvolta rifacendosi al canone collettivo, etico e morale, talvolta personalizzando la traduzione, quindi divergendo in qualche modo dal concetto, in maniera più o meno creativa.
Così succede anche nei rapporti a due. Parlo di rapporti esclusivi, preferenziali, differenti dai rapporti aperti, dove la libertà delle parti è totale o con minimi vincoli, predeterminati di comune accordo.
Succede che due persone si incontrano per caso, si piacciono, qualche tempo dopo il loro legame si stringe, tanto da valutare di renderlo chiuso e prioritario. Ammettiamo che uno dei due si innamori e decida di dichiararsi: solitamente, in questo caso, l’altro ricambia un sentimento più o meno intenso per chi ha di fronte e si impegna, a modo suo, affinché il rapporto divenga chiaro e duraturo per entrambi.
Sarebbe bello se ci fosse collaborazione, no? Risulterebbe un miglioramento in divenire, un gradino per volta, saltando piccoli ostacoli e aggiungendo qualità e consistenza all’esistenza dell’altro.
Certo, solo se entrambi sono onesti. E se uno di loro non lo fosse?
Gran bel casino. Ed ecco cosa succede alla nostra eroina senza macchia e senza paura.
Fase dell’innamoramento
Eccoci qua.
Il cuore pulsa a 300km/h, sembra uno shuttle lanciato in orbita, la testa si alleggerisce, euforia, endorfine, sessualità presentissima, promesse irragionevoli, dichiarazioni improbabili e tante altre esplosioni emotive che, a guardarle col senno di poi, risultano spropositate e prive di qualsiasi logica.
Si vuole spremere fino all’ultimo goccio il succo del proprio essere, cedendo ogni rivolo alla bocca dell’altro, che succhia così forte da deprivarci anche delle linfa vitale. Sebbene la forza che trae sia pari o superiore alla nostra volontà di elargire, la sensazione che si percepisce è equivalente allo stillicidio.
Plick, plick, plick.
I dubbi si fanno largo, come l’acqua in una crepa. Sono costanti, subdoli, posti da chi amiamo, sussurrati affinché gli altri non possano percepirli.
Una frase mormorata oggi, un gesto apparentemente innocuo il giorno a venire, strani raffreddamenti, parole di deprezzamento, disprezzo o denigranti, gettate a caso qui e là, succedute da esaltazioni, riavvicinamenti e affermazioni in contraddizione con gli schemi precedenti.
Questo è il terreno fertile per l’emergere delle fragilità. Perdita, abbandono, tradimento, incomprensioni, lotte, ma, cosa più spaventosa, cecità.
Si è disposti a tutto per l’altro, anche a passare su se stessi, consapevoli di non perseguire il proprio bene. L’amor proprio può venire meno e le paure diventano giganti di roccia che stendono la propria lugubre ombra sulla valle degli gnomi, annerendo le meraviglie offerte dal creato. Si vaga alla cieca, appunto, per trovare nuovamente un punto saldo, un baluardo che ci salvi da noi stessi.
Si può rimanere a brancolare nel buio per mesi, anni e lustri.
Ci si perde nel limbo e, per chi come me ha intessuto una sequela di rapporti malati col sesso opposto, si tende a volersi talmente male da aggrapparsi all’unica meccanica di difesa che si conosca: la chiusura in sé stessi.
Mano a mano che ci si ripiega sulla propria persona, si innescano una serie di reazioni a catena, tra le quali l’incomunicabilità, la disillusione, la totale mancanza di fiducia.
A questo punto, nonostante tutto, si è lottato così tanto da risultare inariditi, quasi svuotati di significato.
Nel nostro giardino, che un tempo era gremito di fiori profumati e pronti a sbocciare, è stato versato del diserbante.
La terra è diventata sterile e così le parole e i pensieri, che un tempo, nel rigoglioso periodo della primavera, vagavano leggeri sospinti dal vento e trasportati dal cadere di una foglia o dalle ali di un insetto, ora sono solo polvere e roccia infeconda.
Non credo più nell’amore tra uomo e donna, nelle persone, nella bontà altrui. Non ho fiducia negli altri, come in me stessa.
Il terreno della realtà è tanto etereo quanto irreale. Ho dovuto subirlo sulla mia pelle per capirlo. Per capire che non vi è nulla di lineare, di concreto, di vero o veritiero.
Vorrei poter strappare questa pagina della mia vita e scriverne una nuova, bellissima.
In quella, magari potrò essere felice, abbanderò il masochismo che mi ha accompagnata per anni e ritroverò quel giardino meraviglioso, dentro cui perdermi e sparire.