L’allegra comitiva del lutto, ormai consolidata nel suo peregrinare tra un cimitero e l’altro, passando per vari gradi di parentela, sembra non volersi sciogliere presto.
Ormai il nero, quella della notte che indosso come un lutto vittoriano, ha tinteggiato le pareti del mio tunnel. La luce c’è, ma non si vede!
Ancora una volta sono seduta sul sedile posteriore, campi e case che scorrono fuori, susseguendosi ad una velocità irregolare.
Sono nauseata. Ho lo stomaco che si rivolta. Vorrei solo dormire e svegliarmi tra vent’anni, quando ormai tutti i moti del mio cuore non saranno che un ricordo sbiadito.
E mi sento come Re Mida, con la differenza che lui tramutava tutto in oro, ed io, al contrario, distruggo tutto quel che le mie dita dannate incontrano. Per prima me stessa. Poi gli altri. Poi i rapporti, le relazioni, gli oggetti e i momenti.
Questa sofferenza è una valigia che non ho più voglia di trasportare, portarmi dietro. Ho le braccia stanche ed il cuore affranto. Può bastare così, davvero, deve bastare così.