Dopo aver raccolto qualche maceria, aver riflettuto sulle questioni importantissime della mia vita ed essermi disperata più e più volte, dando una leccata piena, ma concisa, al nero delle mie notti, mi rimetto in corsia – nel vero senso della parola – ritrovando la mia verve, che avevo temuto, con avvilito spirito, di aver perso.
La data odierna segna il mio terzo giorno come tirocinante OSS – titolo che avrei dovuto già possedere e sventolare di gran classe come una nobildonna della dinastia Tang, dato il mio bagaglio lavorativo piuttosto ricco e rivolto verso il settore socio-sanitario, ma, come ormai mi sento ripetere da chiunque, meglio tardi che mai. E mai sia, appunto, che mi lasci sfuggire l’ennesima porticina socchiusa, l’ultimo vagone dell’ultimo treno passato all’ultimo minuto.
Beh, forse non è proprio l’ultimo, ma figuriamoci per un attimo che lo sia, data la mia spericolata vita da gatto nero in tangenziale (a mezzanotte, con novilunio, sia mai che ci sia un barbaglio di luce)…
Di seguito racconterò, se di racconto si può parlare, le mie avventure in reparto, raccogliendo con la pazienza di una formichina tutti gli episodi più goderecci del nuovo viaggio di studio pratico che mi si staglia dinnanzi.
Il primo giorno di assestamento è stato una passeggiatina di salute: sei ore di rifacimento letti, in pratica, al fianco di una futura superOSS: sebbene non sia dotata di mantello e mascherina, come altri pallosissimi supereroi, è una che si arrischia, indossando un enorme naso rosso, nel pericolosissimo mondo dei reparti pediatrici ed alleggerisce la degenza dei piccoli a colpi di palloncini colorati e spensieratezza.
Da subito il diktat dei nostri superiori è stato di indossare sovraccamici, cuffiette e guanti.
Allora, siamo nell’isola dei puffi, è Luglio, 34 °C all’ombra, tasso di umidità 120%, percepito 180°C – quindi mezz’ora di cottura e sfornare lentamente, altrimenti ci si affloscia tutto il centro-, aria condizionata quasi inesistente.
Il. Sovraccamice. Verde.
Pensando che si tratti di un innocuo D.P.I., lo indosso con gran solerzia, non badando poi tanto a quegli sguardi scoglionati che i colleghi si scambiano vicendevolmente. Eppure dopo un minuto ho la netta sensazione di comprendere cosa si nasconda dietro quello svalangamento testicolare: il camice verde ha il potere di far sbrinare anche i ghiacci perenni, può renderti lucido come una cotenna di maiale colata di burro, ti disidrata che manco una passeggiata nel Gobi a ferragosto trascinando una stufa a legna sulla schiena. Accesa, ovviamente.
Finisco il giro e con somma soddisfazione mi accorgo di aver perso due kilogram… ah no, non ho perso nulla, fuorché tutti i sali minerali fino a quel momento presenti nel mio corpo.
All’una abbandono tutti ed il mio unico pensiero sono le bottigliette d’acqua ghiacciata riposte dentro il frigo di casa.
Il secondo giorno è iniziato con un resoconto totale degli accozzati (raccomandati, come direbbero sull’italica terraferma) che lavorano in ospedale solo perché buon sangue non solo non mente, ma ti imbocca il lavoro col cucchiaio, facendo l’aeroplanino.
Tralasciando tali miserie, di cui mi curo tanto quanto farei con una pianta, e aggiungo, per meglio esplicare, che il mio pollice di verde non ha nemmeno lo smalto sull’unghia, una volta ultimato il giro letti (igiene personale, cambio effetti letterecci, san(t)ificazione unità dei pazienti), la carrozza fumante dei pasti è giunta a noi ed in men che non si dica mi ritrovo con un cucchiaio in mano, un bavaglino ed un paziente con Alzheimer che è convintissimo di stare su una barca!
<<Allora vedi, questo è un gabbiano, quello un colombo>> mentre indica verso la porta del bagno.
<<Toh, una vacca a due teste, non vedi come sta pascolando?>> certo che la vedo la vacca, con questo sovraccamicino verde credo sarei in grado anche di poter vedere qualche apparizione divina, figurarsi un bovino bicefalo, facilissimo no?
Il terzo giorno è resusc… AEMH… il terzo giorno abbiamo un supervisore OSS di cui credo di essermi innamorata, ma non ne sono certa. Ci da piena autonomia, finalmente la SuperOSS-to-be dal piglio clownesco riesce a somministrare i farmaci sottocute, io invece posso accingermi a fare l’igiene personale del paziente da sola.
Verso l’ora di pranzo arriva una ragazza gravemente ustionata, bendata dal torace ai piedi. Subito la accogliamo, l’OSS di turno le pone tutte le domande di rito e solo dopo aver completato il check-in, il quesito che tutti noi speravamo venisse pronunciato si palesa, magnifico, in tutta la sua risolutezza: <<Ma come hai fatto ad ustionarti così?>>. Domandare è lecito, rispondere è cortesia: <<Al mare, la persona che doveva svegliarmi dopo un’oretta ha deciso di lasciarmi dormire dalle 10 alle 17.>>
<<Ma chi è questa persona?>>
<<Mia suocera.>>
Morale della favola, le suocere, anche quelle migliori, non riuscendo nel loro intento di mandarti per direttissima al cospetto dell’Onnipotente, sognano sempre di mandarti almeno all’ospedale.