#43: Il diario di una donna ansiosa

L’ansia è come una mano nera che ti soffoca, opprimendo il petto, mozzando il respiro, scoperchiando il tombino delle tue paure recondite, incuneandosi in qualsiasi anfratto del tuo essere, fino ad una completa paralisi.

Ecco, paralizzata è come mi sento.
Vorrei solo piangere tutte le lacrime che mi sono rimaste e farla finita ora e subito, ma con quale coraggio?
Mi guardo allo specchio e nei miei occhi riesco a scorgere un lago infinito di angoscia. E’ buio e non c’è nemmeno una falce di luna ad illuminare il mio cielo.

I mostri stanno risalendo il pozzo, aggrappandosi alle asperità delle pareti. Li sento grattare con un unghie sordide l’esofago, al ritmo delle pulsazioni cardiache che aumentano ed echeggiano in modo eccessivo dentro le orecchie.

Punti interrogativi costellano il panorama corvino dei miei pensieri e sembrano croci bianche, epitaffi senza voce, con un carico troppo opprimente da consentire loro d’ottenere una risposta.
Passeggio nel mezzo e difficilmente riesco ad orientarmi dentro l’enorme caos che mi attanaglia.
“Come stai?”, il vuoto.

Allora, per scongiurare la follia, mi appello alla parte sana di me stessa, quella spensierata e felice, in grado di ironizzare anche sulla più bieca delle situazioni, ma deve essersi presa una lunga vacanza dalla sua gemella cattiva che, strisciando sibilante, si è seduta sul trono e con lo scettro nero dileggia quel poco che rimane della stabilità su cui a lungo ho lavorato.

“Tu non sei mai stata felice”. E hai ragione, non lo sono mai stata.
“Hai sempre cercato quel che non avevi, senza mai guardare alla bellezza delle cose essenziali di ogni giorno”. Mea culpa, mea maxima culpa.

La vita è così, imprevedibile e selvaggia. Un giorno ti porge un piccolo raggio di sole, poi, alla stessa velocità con cui ha donato, ti toglie il pavimento da sotto i tacchi.

E cosa puoi fare, se non precipitare?

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