Essendo donna, sin dalla nascita mi hanno appioppato lo stigma dell’essere stata generata direttamente dalla costola di un essere umano di sesso maschile.
Avrei potuto capire da un pezzo di cuore, da un arto, da un muscolo… No. Da una costola. Un osso. Perché non da una vertebra? Datemi il pezzo che mi spetta, per tutti gli Dei.
Crescendo e sperimentando il perturbamento adolescenziale dell’incontro tra nuvole cariche di ormoni pulsanti, l’idea della metà della mela, trasmessa durante faticose ore di filosofia al liceo, ha cominciato a frullarmi vorticosamente nel cervello, mandando in pappa il mio senso di integrità ed individualità.
Ricordo al gentile pubblico che la mia pubescenza si colloca sul finire degli anni 90′ e prosegue a cavallo col nuovo millennio, costellata da esempi televisivi altamente formativi, quali Beverly Hills 90210, American Beauty, Romeo+Juliet e -rullo di tamburi- Titanic. Just saying…
Ebbene, da lì in poi mi sono impiegata e spesa nella ricerca scientifica di un amore che corrispondesse esattamente alla mia concezione di “metà”, inizialmente con pochissime pretese, legate a caratteristiche fisiche – alto, capello nero, occhio chiaro o scuro come la notte- e intellettuali – abilità di comprensione del testo, italiano fluente- che si sono infoltite col passare del tempo, affinandosi e divenendo sempre più specifiche, settoriali.
Nel corso degli anni le aspettative, fortilizi di sabbia esposti alla prima schiuma della marea, sono crollate di misero getto.
Il lavoro, dunque, si è affacciato sulla mia vita di giovane adulta di belle speranze ed anche lì, nonostante la tanto seducente e millantata parità dei sessi, finivo sempre per essere subalterna a uomini senza nervo.
Metà, di fatto, era la fantasia che potevo utilizzare nel problem solving, metà era la valorizzazione del mio operato, metà sempre, anche qualora l’idea fosse efficace.
Il tratteggio del piano trasversale era definitivo: siccome dall’addome in giù il mio sistema riproduttivo termina con buchi anziché protuberanze, allora…
Allora vali metà.
E di nuovo l’amore, gli uomini dentro la mia vita, le camminate sulla spiaggia, i tramonti, le mezze parole pronunciate a fior di labbra, il calore dei corpi che, metà per ciascuno, si fondono alla ricerca di quell’unicità promessa ed a lungo anelata, ma fondamentalmente mai trovata. E io sono te, e tutto ciò che vedo sono io, per dirla alla pinkfloydese, con mille ambasciatori del mattino che arrivano danzando a bordo di scintillanti raggi solari ed io, sempre io, senza filtro 50+ contro gli UV, oltre alle ustioni, ho riportato le cicatrici per lustri.
Perché, si sa, quando la tua metà si rivela essere un violento, un maniaco, un traditore o semplicemente esula dal tuo esatto concetto di partner, ti piomba addosso una delusione, un vuoto incolmabile, per cui via, ciurma all’arrembaggio, ‘ché la nave sta salpando verso altri lidi, anch’essi famosissimi per la loro recisione netta in due, divisi, mezzi, in attesa della venuta mistica di qualche altro pioniere incompleto come loro.
(Così sia, ab aeterno)
Sarebbe stato tutto più semplice se gli Dei non avessero fulminato quei dannati ermafroditi bicefali e li avessero lasciati nella loro forma primigenia, perfetta ed integrale!
Ora, superata la soglia dei trenta, con fatica ercolina, sono giunta ad una conclusione: nessuno (nessuno!) ha una metà. Tutto quello che creiamo, svolgiamo, dirigiamo, pensiamo e realizziamo è frutto, sì, dell’educazione, istruzione, ambiente e biglietto -vincente o meno- della lotteria genetica, ma la sua gestione ed interiorizzazione è un complesso elaborato che si dipana direttamente in noi, sgorgando dalla parte più profonda di noi, la nostra vera identità, che mezza non è.
La spinta verso l’amore è naturale anch’essa; si può amare accettando il fatto di non dover completare l’altro, semplicemente standogli accanto senza la pretesa di incastrare perfettamente questa metà con quella metà, proprio perché non vi è NESSUNA metà da far combaciare.
Siamo mele intere, perfette e perfettibili, non irripetibili, non uniche e destinate a qualcuno. Siamo promessi sposi di noi stessi, prima di poter esserlo per qualcun altro.
E dopo questo bel mattone di fuffa candita, è l’ora del pijiama.
Nero.
Coi gatti stampati sopra .