#54: Diario di una futura OSS (che continua ad assentarsi e rischia di perdere capra e cavoli)

Hai presente la ramificazione dei corridoi di un ospedale? È un dedalo incomprensibile di aree che si rapportano tra loro tramite richieste scritte, nomi di patologie e comorbilità annesse, ascensori interni d’acciaio, parenti scazzati e pazienti (spesso anche loro scazzati) igienizzati a colpi di catino e garzetta.

In mezzo a Luminari della scienza medica, Sottoposti con felpatissime papille gustative, abituati a saggiare deiezioni liquide pur di avere quel momento di prestigio caduco, si vedono pascolare anche schiere di tirocinanti confusi, sballottati da una parte all’altra, senza referenti. Perché, si sa, con la razionalizzazione delle risorse sanitarie -aka dimezzamento del cash, sfoltimento della forza lavoro, risparmio su interventi, riduzione ricoveri e smantellamento del welfare- il pe(r)culio sarà pure ingente, ma la qualità… Diciamo solo che non è il caso di parlare di standard qualitativi, oggi.

Nel frattempo il gatto nero, in tutta la sua proverbiale fortuna, si è spostato, trafelato, da uno all’altro reparto – solo di un andito, prima porta a sinistra.

Stesso piano, stesse regole empiriche, stessa consistenza del pavimento sotto gli zoccoli di plastica, ma dimensione completamente diversa. E non come Matrix, piuttosto come Stargate, solo che anziché essere catapultati in un mondo fantasy a casaccio, si sprofonda nella più totale disperazione.

C’è M., una dottoressa piuttosto affermata, che a seguito di un ictus ha perso parzialmente la capacità di esprimersi e gioca col cibo, poi solleva il capo rasato, fissa i tuoi occhi e si perde, come se dentro l’iride scorgesse qualche immagine lontana, intangibile.

Ci sono A. e F., giovanissimi, che a seguito di incidenti, che non posso ben descrivere, migliorano molto lentamente le abilità fisiche e cognitive.

Ogni giorno la moglie del primo si arma di santa pazienza e sorriso magnetico, entra in reparto velocemente e raggiunge la sedia a rotelle del marito, fermo di fronte alla Tv della sala da pranzo. Lo accarezza, posa baci sparsi sulla pelle del viso, sulle mani, sulle palpebre che si abbassano a celare l’azzurro acqua dei suoi occhi attenti e allo stesso tempo rallentati da una non meglio stabilita compromissione neurologica. Ti immagini cosa significhi interfacciarsi con tuo marito trentenne, doverlo imboccare tutti i giorni, occuparti dei figli che hai messo al mondo con lui, accettare che con tutta probabilità non si riprenderà al 100% (e forse neanche al 60%), senza che tu possa fare qualcosa perché tutto torni semplicemente come era prima? Quanta forza ci vuole per sopportare il peso di un pugno allo stomaco che ti stordisce e ti lascia lì, ai margini, sopraffatto dall’imprevedibilità cosmica? Tanta, troppa quando si è da poco superato un quarto di secolo di vita ed i progetti, caduti come un castello di carte, sono ancora eccessivamente freschi per essere accantonati. Eppure si lotta, non si molla il pezzo nemmeno di un millimetro.

La palestra del reparto pullula di specialisti che con fatica mobilizzano gli arti plegici, coadiuvano i pazienti nella lunga e dolorosa ripresa verso parametri da manuale. C’è chi non li raggiungerà mai più, quei valori, quei numeri di perfezione, chi invece taglia il traguardo dopo anni di faticoso impegno.

Un combattimento estenuante che porta con sé quesiti probabilmente irrisolvibili, non solo per chi vive il dramma, ma anche per chi osserva e cerca di offrire le proprie mani a chi non le può più usare.

È l’ora del caffé, pausa?

11 risposte a "#54: Diario di una futura OSS (che continua ad assentarsi e rischia di perdere capra e cavoli)"

    1. Troppo lungo, dici? Qualche consiglio in merito?

      Passando al punto 2, naturalmente mi riferisco solo al reparto in cui sono stata inserita. Non ho la presunzione, né la capacità di poter valutare tutti gli ospedali in generale. 🙂

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